Disturbo depressivo persistente (distimia)
Il disturbo depressivo persistente fa riferimento a una condizione di tipo depressivo che perdura per molto tempo.
La persona che presenta questa problematica ha un umore stabilmente depresso per la maggior parte della giornata e quasi ogni giorno, per almeno due anni consecutivi.
Come per il disturbo depressivo maggiore, nel caso in particolare di bambini e adolescenti, l’umore può essere irritabile invece che depresso, ma si può parlare di disturbo depressivo persistente già dopo un anno in cui la sintomatologia è presente.
All’alterazione del tono dell’umore si associano tipicamente altri sintomi tra i seguenti:
- scarso appetito o iperfagia;
- insonnia o ipersonnia;
- scarsa energia o astenia;
- bassa autostima;
- difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni;
- sentimenti di disperazione.
Il carattere centrale di questo quadro clinico, che lo distingue dal disturbo depressivo maggiore semplice, è la persistenza.
Si tratta infatti di una condizione, come già scritto, di almeno due anni in cui i sintomi sono stati costantemente presenti, e in cui non ci sono stati intervalli asintomatici di più di due mesi.
Come può essere intuibile, possiamo parlare di disturbo depressivo persistente anche in presenza di un disturbo depressivo maggiore che si sia protratto per un lasso di tempo di almeno due anni o per quelle condizioni in cui, sempre per più di due anni, si siano verificati episodi depressivi maggiori in modo intermittente, con intervalli di almeno 8 settimane in cui i sintomi depressivi, seppur presenti, non raggiungevano la soglia per un episodio depressivo maggiore completo.
In questi casi, così come per il disturbo depressivo maggiore è molto importante il monitoraggio longitudinale dell’umore, in modo da cogliere eventuali alterazioni dello stesso in senso esageratamente elevato che possano far pensare a un disturbo bipolare.
Le oscillazioni in senso maniacale o ipomaniacale non vengono infatti percepite da chi le esperisce come problematiche e possono quindi non essere riconosciute come patologiche, portando la persona a evitare o ritardare il trattamento e di conseguenza a un peggioramento del decorso.