Evoluzione storica del modello cognitivista e della psicoterapia cognitiva
1) Il modello cognitivista si è evoluto a partire e in parte in reazione al modello comportamentista e al paradigma stimolo-risposta (S-R-Sr).
Secondo l’approccio comportamentista l'essere umano è completamente a determinazione ambientale e per nulla a determinazione interna. Per questo modello la mente è inconoscibile ed è paragonata a una black box; pertanto l'unico modo per studiare l'essere umano è studiarlo attraverso i comportamenti manifesti.
Per fare questo uno degli strumenti e procedimenti utilizzati è l'analisi funzionale del sintomo, attraverso l’ABC comportamentale, dove con A si indicano gli antecedenti situazionali (Antecedents; cioè quelle situazioni stimolo che possono elicitare un determinato comportamento o più in generale che precedono un certo comportamento), con B si intende il comportamento (Behaviour), con C si fa riferimento alle conseguenze (Consequences; cioè come reagisce l'ambiente al comportamento del soggetto, quali sono le conseguenze all'interno dell'ambiente in cui l’individuo è inserito).
Per esempio se si sta osservando il comportamento di un bambino, si esamineranno gli antecedenti, quindi dove, quando e con chi è stato messo in atto un certo comportamento, qual è il comportamento e quali sono le conseguenze, cioè come reagiscono per esempio i genitori o altri significativi quando il bambino dice o fa una determinata cosa.
L'analisi funzionale del sintomo ci permette quindi di studiare il comportamento sulla base degli stimoli che lo elicitano e dei rinforzi che lo seguono.
I limiti di questa prospettiva consistono proprio nel fatto che non si esplora l'interno ed è quindi una prospettiva che offre strumenti, soluzioni utili in certe situazioni specifiche o per certi versi semplici, mentre in casi più complessi è necessario andare a studiare anche l'interno quindi gli stati mentali del bambino e dell'adulto.
2) Nel tempo si è determinata la graduale integrazione tra l'approccio comportamentale e la terapia cognitiva che si era diffusa negli anni ‘60-‘70 entro la definizione condivisa di terapia cognitivo-comportamentale. Le tecniche comportamentali vengono unite alle terapie cognitive in modo da rendere quest'ultime meglio applicabili anche in età evolutiva.
Il paradigma cognitivo-comportamentale diffusosi negli anni ‘70 fa un passo avanti e si propone di dare uno sguardo anche alla mente, alle variabili interne all'individuo. Uno degli interventi utilizzati da questo paradigma è il training delle autoistruzioni verbali (self-instructional training; Meichenbaum, 1977) con il quale si inserisce un pensiero tra lo stimolo e la risposta in modo tale che questo pensiero vada a mediare il comportamento dell'individuo. L'obiettivo è quello di modificare il dialogo interno della persona e quindi modificare il suo comportamento e attraverso questo nuovo dialogo interno portare anche a una gestione migliore delle frustrazioni o di quei sentimenti che risultano scomodi o difficili da affrontare. Questa tecnica che rientra nelle tecniche cognitive di autocontrollo, insieme al problem solving, viene quindi utilizzata all'interno di una cornice che vede l'uso anche di tecniche comportamentali basate
- sul principio di esposizione allo stimolo ansiogeno (come la desensibilizzazione sistematica e l'esposizione graduata unita con il rilassamento muscolare progressivo) e
- su programmi di rinforzo positivo o negativo (time out, estinzione, token economy…) che mirano ad aumentare la frequenza dei comportamenti adattivi e diminuire quella dei comportamenti disadattivi.
3) Passando invece alle terapie cognitive standard (che si sono diffuse attorno agli anni ‘60-‘70), queste considerano la mente, quindi l'esperienza interna, come centrale nella loro analisi. La concettualizzazione della terapia e l’idea alla base del problema psicopatologico consiste nel fatto che non sarebbero tanto le cose che accadono in quanto tali a provocarci sofferenza e a farci stare male, ma il modo in cui le interpretiamo e le elaboriamo.
Alla base delle emozioni negative ci sarebbero quindi delle convinzioni e credenze irrazionali e delle distorsioni cognitive da cui originerebbero dei pensieri automatici disfunzionali.
Quindi, l’obiettivo della terapia cognitiva standard è quello di andare a cambiare le convinzioni “irrazionali” e i pensieri “distorti” attraverso la ristrutturazione cognitiva.
Questi pensieri vengono indagati attraverso l’ABC cognitivo dove A consiste negli eventi e nelle situazioni attivanti (Antecedents; con chi, dove, quando, cosa accade nella situazione), B sono i Believes, quindi i pensieri, le immagini, le rappresentazioni e C (Consequences) comprende la risposta emotiva e comportamentale del soggetto.
4) A partire da fine anni ’70 e inizio degli anni ‘80 con la pubblicazione nel 1983 di “Cognitive processes and emotional disorders” Vittorio Guidano e Giovanni Liotti aprono il campo a una nuova prospettiva psicopatologica e terapeutica che si andrà successivamente differenziando in due indirizzi differenti: quello post-razionalista e quello cognitivo-evoluzionista. Questa nuova prospettiva introduce importanti cambiamenti rispetto alle prospettive precedenti.
- Viene introdotta un'ottica strutturalista e organizzativa per cui non esisterebbero singole convinzioni e credenze distinte, ma un sistema di convinzioni, un insieme di schemi cognitivi interpersonali, alcuni più centrali e altri più periferici.
Al centro avremo un'unica credenza di fondo che è il significato personale della persona dal quale poi si originano delle altre credenze che però derivano da quella centrale. Il funzionamento psicologico e psicopatologico non è quindi più rappresentato da singoli schemi, ma da un’organizzazione cognitiva (l’organizzazione di significato personale) e vengono quindi descritte nella prospettiva post-razionalista una serie di organizzazioni cognitive tipicamente collegate ad alcuni scompensi psicopatologici (da cui le definizioni “DAP”, che sta per disturbi alimentari psicogeni, “fobica”, “ossessiva” e “depressiva”). - Un altro cambiamento importante è stato l'introduzione dell’ottica evolutiva cioè di un’attenzione ai processi di sviluppo entro i quali prendono forma i sistemi conoscitivi. Questo è stato fatto integrando in modo originale la teoria dell'attaccamento all'interno del modello clinico cognitivista (per cui si ha un'integrazione tra itinerari di sviluppo e organizzazione cognitiva nell'adulto). Mentre i primi cognitivisti come Albert Ellis e Aaron Beck lavoravano sul “qui e ora” e non erano interessati a capire da dove derivassero quegli schemi, nella nuova prospettiva avviata da Guidano e Liotti ci si chiede quali esperienze precoci in termini di attaccamento abbiano portato a quella determinata struttura di personalità.
- Integrando la teoria dell'attaccamento, il modello cognitivista diventa un modello relazionale in quanto i modelli operativi interni descritti da Bowlby, sono modelli di sè con l'altro e questo porta ad avere anche una definizione relazionale del sintomo.
I sintomi vengono cioè definiti come mezzi volti al mantenimento dello stato di relazione con le figure affettivamente significative del proprio ambiente, a fronte di sbilanciamenti affettivi non più gestibili sulla scorta degli abituali meccanismi di compenso.
Dal momento che è proprio dentro queste relazioni che il proprio senso di sé prende forma e si mantiene, il sintomo viene definito anche nel suo valore funzionale identitario: come processo autoreferenziale volto al mantenimento della stabilità e coerenza del sentimento di sè a fronte di eventi di vita critici che sono percepiti come minaccianti in questo senso (Guidano e Liotti, 1983; Guidano, 1986, 1992, Lambruschi, 2004). I sintomi insorgono quindi proprio per ripristinare lo stato di relazione e il senso di stabilità e coerenza di sé.
Secondo un’ulteriore definizione fornita da Liotti i sintomi possono essere considerati come “metafore incompiute” di aree emozionali critiche non adeguatamente riconosciute e non adeguatamente elaborate ed espresse da parte del soggetto (Liotti, 2001). In altri termini quando c’è un sintomo c’è sempre nella struttura del soggetto un’area emozionale che lui fa fatica a riconoscere e ad articolare, un’emozione che in qualche modo non vuole sentire. Quell’emozione non riconosciuta si trasforma in sintomo e può essere percepita dalla persona come malattia. - Altri cambiamenti riguardano il passaggio da una posizione epistemologica di tipo empirista a una posizione epistemologica costruttivista. Quindi da un modello di uomo come passivo recettore di stimoli sensoriali, come era considerato nel comportamentismo (per il quale era possibile attraverso i sensi percepire una realtà considerata oggettiva e conoscibile in quanto tale) si passa a un modello di uomo come attivo elaboratore di informazioni, di significati personali su di sé e sul mondo. Ogni essere umano è dotato infatti di una propria mappa del mondo, cioè di una propria organizzazione di significato personale attraverso la quale interpreta e costruisce la propria realtà interna ed esterna.
- Non esiste quindi più una realtà oggettiva e perfettamente conoscibile in quanto tale, ma questa realtà è quantomeno solo parzialmente conoscibile sulla base del nostro sistema percettivo e nervoso e dei nostri sistemi di memoria che sono stati plasmati all'interno dei legami primari di attaccamento.
- Un altro cambiamento sta nel passaggio, all’interno del processo terapeutico, dal disputing, cioè della messa in discussione di quelli che erano considerati i pensieri irrazionali, all’acceptance. Seguendo questo approccio non si ristrutturano i pensieri distorti, ma si impara a stare nelle emozioni critiche e l'obiettivo è proprio la consapevolezza e l'accettazione dei propri stati interni. Il cambiamento consiste nel distanziamento critico dai propri scenari interni, dai propri pensieri e in parte anche nel sentire e articolare meglio le emozioni critiche che si sono sempre evitate.
- Si modifica infatti, nel passaggio dal razionalismo al post-razionalismo, il significato stesso di razionale e irrazionale: non esistono pensieri irrazionali di per se stessi, ma la razionalità di un comportamento è definibile solo in relazione all'individuo che la esibisce e al suo funzionamento. Non è quindi più definita dall'esterno e non c'è una razionalità determinabile in maniera univoca e universale.
Le traiettorie di ricerca e teoriche di Guidano e Liotti si sono quindi poi differenziate da un lato verso un indirizzo post-razionalista che concentra l'attenzione sul Sé come processo autoreferenziale e lo studio sulla costruzione dell’identità e sui processi psicopatologici è inteso come scienza del significato personale e dall'altro verso un filone cognitivo-evoluzionista strettamente connesso all’approccio etologico ed evoluzionistico che pone al centro dell'indagine i sistemi motivazionali umani con lo studio della disorganizzazione dell'attaccamento come processo alla base di aree importanti della psicopatologia (Lambruschi, 2018).
Guidano, V. F. (1986). The self as mediator of cognitive change in psychotherapy. In Perception of self in emotional disorder and psychotherapy (pp. 305-330), Springer, Boston, MA.
Guidano, V. F. (1992). Il Sé nel suo divenire: verso una terapia cognitiva post-razionalista. Bollati Boringhieri, Torino.
Guidano, V. F., Bergeret, Á. T. Q., & Lambruschi, F. (2007). Psicoterapia cognitiva post-razionalista: Una ricognizione dalla teoria alla clinica, Franco Angeli, Milano.
Guidano, V. F, & Liotti, G. (1983). Cognitive processes and emotional disorders, Guilford Press, New York.
Guidano, V. F. (2008). La psicoterapia tra arte e scienza, Franco Angeli, Milano.
Lambruschi F., a cura di, (2004). Psicoterapia cognitiva dell'età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche, Bollati Boringhieri, Torino.
Lambruschi, F. (2018). Un modello a tre assi per la formulazione del caso secondo la prospettiva cognitivo-costruttivista ed evolutiva. Cognitivismo Clinico, 15, 2, 145-159.
Liotti, G. (2001). Le opere della coscienza, Raffaello Cortina, Milano.
Meichenbaum, D.H. (1977). Cognitive behavior modification, Plenum Press, New York.
Per un approfondimento si veda anche: Semerari A. (2000), Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitiva, Laterza, Bari.